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15 luglio 2020

All’inizio di un triennio può capitare di sentirsi inadatti, inesperti, se non addirittura smarriti quando l’associazione ci affida la responsabilità verso i più piccoli.

Abbiamo pensato ad un momento di formazione che nasce dalla necessità di scoprire e riscoprire qual è il servizio che il responsabile ACR deve svolgere nella Chiesa e nell’Associazione.

“#FACCIAMOLUCE sul responsabile”, questo dunque il titolo dell’appuntamento formativo che ruoterà intorno a due focus:

Che Responsabile sei?
Sarà l’occasione per condividere la propria esperienza di servizio e confrontarsi con chi è stato chiamato a vivere la nostra stessa responsabilità.

Gli strumenti del mestiere
Sarà l’occasione che ci permetterà di conoscere quali sono i compiti di questo servizio e quali gli strumenti a nostra disposizione.

Fiduciosi che coglierete questa opportunità per scoprire a fondo il valore del vostro servizio educativo.
Il responsabile è colui che è in gioco con tutto sé stesso nella partita con l’AC, perché l’associazione recupera il suo personale incontro con Dio riconoscendogli dei carismi specifici, come la scelta educativa, ma valorizzandoli nella unità della persona amata da Dio. Lui ci ama e ci sceglie così come siamo e lo stesso fa l’AC, ma dal nostro sì nasce la conciliazione delle nostre diversità in un unico, grande capolavoro.
Vi aspettiamo con gioia!



Ora Facciamo MEMORIA della nostra chiamata. Ognuno di noi potrebbe raccontare un aneddoto su come è nata la sua militanza in AC: dalla nascita per tradizione familiare, per chiamata da parte di qualcuno dentro la parrocchia, per proposta personale, ecc. In ogni caso la sensazione avvertita sarà stata: “Ma sei sicuro, ho capito bene, mi stai sopravalutando…”


Ripercorriamo rapidamente la storia di Davide.

E il Signore disse a Samuele: «Fino a quando piangerai su Saul, mentre io l'ho rigettato perché non regni su Israele? Riempi di olio il tuo corno e parti. Ti ordino di andare da Iesse il Betlemmita, perché tra i suoi figli mi sono scelto un re». […] Il Signore soggiunse: «Prenderai con te una giovenca e dirai: Sono venuto per sacrificare al Signore. Inviterai quindi Iesse al sacrificio. Allora io ti indicherò quello che dovrai fare e tu ungerai colui che io ti dirò». […] Quando furono entrati, egli osservò Eliab e chiese: «È forse davanti al Signore il suo consacrato?». Il Signore rispose a Samuele: «Non guardare al suo aspetto né all'imponenza della sua statura. Io l'ho scartato, perché io non guardo ciò che guarda l'uomo. L'uomo guarda l'apparenza, il Signore guarda il cuore». […] Era fulvo, con begli occhi e gentile di aspetto. Disse il Signore: «Alzati e ungilo: è lui!». Samuele prese il corno dell'olio e lo consacrò con l'unzione in mezzo ai suoi fratelli, e lo spirito del Signore si posò su Davide da quel giorno in poi. Samuele poi si alzò e tornò a Rama.». (1 Samuele 16,1-13)



C’è sempre un Samuele, un profeta nella storia di ciascuno di noi, che osserva, prega, vede lontano, propone una scelta e noi ci sentiamo scelti, anche se forse mai prima di quel momento avremmo pensato di essere scelti. C’è sempre un Saul nelle storie dell’AC ovvero una situazione di criticità, un vuoto di potere/servizio che va affrontato, elaborato, colmato. C’è sempre qualcuno che sembra possa ricoprire quel vuoto meglio di noi, per apparenza e competenza. C’è sempre uno spirito che parla al cuore dell’uomo e in questo caso del profeta/elettore, che vede oltre ciò che vediamo noi ed è capace di riconoscere la stoffa, il cuore che c’è dentro di noi, perché l’unico che è più intimo di noi stesso è solo Dio che guida liberamente verso il suo progetto. Al progetto di Dio si può rispondere di sì o di no, ma Dio trova sempre il modo di realizzarlo. Davide riceve l’unzione, ma non so fino a che punto capisce a cosa va incontro, ma è pieno di coraggio, che il suo fratello maggiore, Eliab, definisce “orgoglio e malizia del cuore”. Vuole sapere che cosa Saul promette a chi abbatte Golia. Si presenta poi al re e dichiara di voler affrontare il Gigante. C’è una resistenza di Saul, poi l’accettazione ed infine gli dà la sua armatura. Davide non sa camminare così, si toglie tutto e va incontro a mani nude verso Golia, con la sola sua fionda.

In AC ognuno cammina secondo il carisma dell’AC, ma con quello che è, così come è. Assumere lo stile di un altro o ricoprire un ruolo per imitazione o emulazione porta o alla rovina o all’infecondità. Ognuno deve dare il meglio che può solo e soltanto con ciò che ha. Il resto della storia di Davide ripercorre l’identikit del responsabile di AC. Saul diventa invidioso di Davide, che a causa sua incontra molte traversie, ma Dio è sempre al suo fianco e mai gli fa venire meno il suo aiuto. Nella chiesa, in una parrocchia vivono spesso i più fragili, quelli con meno mezzi eppure con questi Dio fa la sua chiesa e la sta facendo durare da millenni. Anche il responsabile di AC conoscerà difficoltà, travisamenti, farà esperienza dei facili giudizi, delle opposizioni e delle resistenze, del peccato, della compagnia, ma anche di una terribile solitudine. Tutto concorre al suo perfezionamento e al bene comune. Guai a pensare di mollare tutto, perché’ non ne vale la pena o perché non ci si sente capaci! Queste sono tentazioni che nascono dalla superbia e dalla finta umiltà di cui si serve il maligno per farci uscire fuori dalla mischia e vincere la battaglia. Il ruolo del responsabile si gioca non solo nella propria storia personale, ma anche nella storia del mondo, nel tempo che viviamo, che è pieno di contraddizioni, ma anche di mille segni della continua presenza di Dio. Guai a gettare la spugna se non per un bene maggiore. Davide d’altronde, anche quando diventa mandante di un omicidio, non esita a gettarsi per terra per chiedere perdono così come non esita a danzare come un bambino, mezzo svestito, per ringraziare il Signore di averlo fatto re d’Israele. ENTUSIASMO, INTRAPRENDENZA, ORIGINALITA’ e PECCATO, PERDONO E CELEBRAZIONE sono le dimensioni umane e spirituali del responsabile in generale.

E il RESPONSABILE DI AC/ACR?



IL RESPONSABILE

Dal Progetto Formativo capitolo 7 paragrafo 2

Conosce e vive con convinzione il carisma dell’AC, e si impegna perché la sua associazione locale ne rifletta in concreto l’ispirazione;

Conoscere e vivere autenticamente il carisma dell’AC implica la conoscenza dello statuto “L’Azione cattolica italiana è un’associazione di laici che si impegnano liberamente, in forma comunitaria ed organica ed in diretta collaborazione con la Gerarchia, per la realizzazione del fine generale apostolico della Chiesa.” (Dallo Statuto dell’Ac – art. 1.). L’AC ha un carisma semplice, perché è quello della chiesa: ascolto della Parola di Dio, Eucarestia, preghiera personale e vita comunitaria. La condivisione delle responsabilità associative è educazione alla partecipazione e alla crescita di consapevolezza del proprio ruolo laicale nella missione della Chiesa.

Conoscere bene la missione della chiesa: conoscere i documenti del Concilio, le encicliche, deve seguire la vita della chiesa, deve capire quali sono i fermenti in essa presenti e dove essa sta andando. Pensate al carisma di Papa Francesco, la chiesa delle periferie, gli ultimi, la nuova evangelizzazione, la cura personale e l’attenzione (lettere e telefonate alle persone), la tenerezza, l’attenzione al creato.

Conoscere le storie e gli scritti delle persone che hanno lasciato un segno nell’AC e nella storia della Chiesa: Frassati, Nennolina, Armida barelli, Bachelet, Moro, Piersanti Mattarella e fratello: uomini del tempo e nel tempo. Gran parte delle loro intuizioni non si sono pienamente realizzate e dunque vanno recuperate, insieme allo sviluppo di un proprio pensiero, di una propria visione di questo tempo, del proprio agire e del proprio operato.

Deve avere una vita spirituale: preghiera personale con tempi e spazi fissi, offerta in essa del proprio ministero, riflessione sulla parola, partecipazione alla celebrazione eucaristica e vivere un'esperienza del Signore, che afferri il cuore, la testa e tutta la persona. Quando si è cotti per la fatica, riservarsi del tempo per sé (ritiro, buon libro, passeggiata, anche in queste occasioni Dio ci parla), per evitare il rischio di burn out, di confusione dell’AC con un fare, un'azione a favore dei ragazzi della comunità, un gesto di dono, di carità, di sensibilità missionaria ma che non risponde di una chiamata del Signore, che non corrisponde al proprio cuore.



È capace di tessere continui rapporti di comunione con tutti: con i pastori, con gli organismi pastorali, con la vita ecclesiale entro cui l’AC vive. Fa trasparire sul territorio il valore di un’esperienza comunitaria come quella associativa, in quanto realtà di servizio e di disponibile collaborazione ad ogni progetto positivo a favore delle persone e della comunità;

Ad intra: Comunione con la chiesa e gli organismi pastorali: AC proiettata sul territorio, nelle diocesi, nelle parrocchie. Il Responsabile di AC deve avere un buon rapporto con il suo parroco, deve con lui progettare, proiettare, realizzare. Il fatto che l’AC sia un’associazione di laici significa che il rapporto è di collaborazione continua, è di apporto continuo di quei pani e pesci messi a disposizione da un membro della comunità, ma quegli stessi si moltiplicano solo se c’è una preghiera di benedizione. Bachelet parlava di “obbedienza in piedi”, che significa non fare muro, ma argomentare le proprie ragioni e questo significa conoscerle, spiegare come faceva Gesù con la folla, soprattutto se chi abbiamo davanti e cioè il nostro parroco, non sa molto di AC e questo, ahimè, oggi è abbastanza diffuso rispetto al passato. “Ma il parroco mi ostacola” E tu aggira l’ostacolo e, se a causa di ciò non puoi fare tutto quello che hai in testa, vuol dire che questo basta, il resto lo mette Dio. Tuttavia il sacerdote spesso ha solo bisogno di fraternità, compagnia e amicizia.

Ad extra: abbiamo già parlato prima dell’appartenenza al proprio tempo di un responsabile. In particolare da parte di chi educa risulta fondamentale la capacità di leggere tra le righe del proprio tempo. E, se è vero che tale compito non è mai facoltativo per il cristiano, occorre dire che, a maggior ragione non lo è nell'ambito dell'educazione e nella formazione dei più piccoli. Promuovere e sostenere la soggettività dei ragazzi significa infatti cogliere nelle attese, i sogni, le difficoltà le esigenze, per renderli protagonisti del loro cammino. Essere informati sul proprio tempo, fonti attendibili (lettura del quotidiano e della stampa di AC), rilettura alla luce del Vangelo.



è riferimento per l’unità interna dell’associazione: in essa contribuisce a costruire rapporti di comunicazione e di fraternità che costituiscano il tessuto connettivo di una vera vita associativa;

Persona di relazione, che ha rapporti con gli educatori, ma anche con i rappresentanti degli altri settori e soprattutto con il presidente, parla di ciò che fa e ascolta quello che fanno gli altri, recuperando, armonizzando al proprio lavoro, sintonizzandosi. Uno strumento: Parresia. Essere capace di parlare con franchezza e di dire con carità anche ciò che può non essere gradito sentire e che però mina lo sviluppo della persona, la testimonianza nell’associazione.



possiede un corretto senso dell’istituzione: pone attenzione a tutti gli aspetti concreti della vita associativa, senza sottovalutarli e senza enfatizzarli, perché l’AC non si dissolva in un gruppo spontaneo, né si trasformi in un’esperienza formale o burocratica dove l’aspetto esteriore prevalga sul resto;

L'opera a cui ci si accinge in qualità di responsabili non è piccola, anzi. Pertanto non ci si può fidare solo all'estro personale, al desiderio entusiasta di fare qualcosa di buono per gli altri, ai suggerimenti di un opuscolo o di un testo anche se aggiornatissimi. Al responsabile si richiede perseveranza nel riflettere e soprattutto intelligente elaborazione di programmi in cui valutare il peso specifico con cui proporre di volta in volta gli elementi che contribuiscono alla crescita dell'esperienza di fede, della vita ecclesiale, del sentirsi parte viva dell'associazione. La capacità di programmare non è un'attitudine che ognuno possiede da sé, anzi spesso si diventa responsabili senza mai aver avuto occasione distendere un programma di lavoro. A programmare si impara attraverso la partecipazione a incontri, campi scuola, scuole associative, convegni promossi dal centro diocesano, il confronto con persone esperte di programmazione e di vita associativa. La programmazione infatti è anche e soprattutto un impegno da realizzare insieme.

conosce il valore di comunione della scelta democratica e aiuta a viverla in modo alto, in tutto il suo significato.

Con il termine scelta democratica non si intende solo l’uso di elezioni per la partecipazione all’associazione, ma la capacità di partecipare nel proprio ruolo e, in qualità del ruolo ricoperto, di assegnare ruoli ad altri, in particolare ai ragazzi, di delegare, di farsi da parte quando si comprende che è tempo di lasciare il posto ad altri, di rinnovare le energie, perché il tempo richiede nuove attitudini e nuovi compiti. Inoltre significa anche partecipazione politica nel senso più puro del termine, ovvero aver cura della “pòlis”, della città, del territorio e, nel caso in cui si desideri militare in prima linea nella politica, ritornare alle motivazioni della “scelta religiosa” di Bachelet.

Il responsabile è dunque un super eroe? No, solo un uomo che cammina sulla strada di ogni giorno, con l’aiuto di tutti. Da qui anche il coinvolgimento di altre parrocchie, nel caso in cui non ci siano forze sufficienti nella propria.



Io credo che per l’AC e la società tutta quello appena trascorso sia stato un momento epocale, di quelli che entrano dritti nella memoria per non uscirne più, di quelli che generano cambiamenti per sempre. Non si può pensare che tutta la ricchezza di questo tempo ora non serva più, perché forse domani ci dimenticheremo di tutto il passato e ritorneremo come era prima, forse anche più accelerati di prima, perché bisogna recuperare il tempo perduto. Io credo che se quest'emergenza così drammatica trascorresse senza la nostra presa di coscienza, senza scoprire qualcosa di più profondo di noi e della nostra realtà professionale sarebbe una sciagura che si aggiungerebbe al peso insopportabile della morte di tanti, del dolore e della paura, del disagio della chiusura. Chiediamo dunque al buon Dio che illumini le nostre scelte di responsabili alla luce di vecchie e nuove consapevolezze, ma soprattutto della speranza e di un rinnovato impegno.

Daniela Novi

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