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8 marzo 2021

Un altro io nella comune umanità:
una riflessione sulla questione femminile oggi, nella Chiesa e nell’Azione Cattolica

Un altro io nella comune umanità:
una riflessione sulla questione femminile oggi, nella Chiesa e nell’Azione Cattolica

È nel 1909 che per la prima volta, negli Stati Uniti d’America, si celebra la Giornata Internazionale della Donna. Bisognerà però aspettare il 1975 perché l’ONU designi ufficialmente l’8 marzo come Giornata Internazionale della Donna: è solo da poco meno di cinquant’anni, dunque, che in questa data la comunità internazionale è chiamata a riflettere non soltanto sulle conquiste ottenute, anno dopo anno, nella lotta per l’uguaglianza di genere in ambito politico, economico e sociale, ma anche e soprattutto su quanto ancora ci sia da lavorare per raggiungerla. Per quanta strada sia stata percorsa finora e per quanto straordinario sia stato il progresso nel campo dei pari diritti e delle pari opportunità, infatti, il cammino che ci attende innanzi è ancora molto lungo.
La questione femminile obbliga tutti ad interrogarsi, uomini e donne, giovani e adulti, istituzioni e privati cittadini: ecco che, di conseguenza, anche la Chiesa stessa non può che essere coinvolta nel dibattito, tanto come istituzione quanto come comunità di fedeli. Papa Francesco ha dimostrato la sua particolare attenzione al tema in numerosi interventi: uno fra tutti, basti citare l’Amoris Laetitia – un «breve sguardo sulla realtà», come lo definisce Francesco – all’interno del quale rileva che «per quanto ci siano stati notevoli miglioramenti nel riconoscimento dei diritti della donna e nella sua partecipazione allo spazio pubblico, c’è ancora molto da crescere in alcuni paesi. Non sono ancora del tutto sradicati costumi inaccettabili». Se però è vero che la lotta per un mondo più giusto, più inclusivo e meno violento dovrebbe accomunare ogni individuo, per un cristiano quest’urgenza è doppiamente motivata anche dalla viscerale consapevolezza dell’uguaglianza di tutti gli individui davanti a Dio: a questo proposito, scriveva Giovanni Paolo II nella lettera Apostolica Mulieris Dignitatem che «il testo biblico fornisce sufficienti basi per ravvisare l'essenziale uguaglianza dell'uomo e della donna dal punto di vista dell'umanità. Ambedue sin dall'inizio sono persone, a differenza degli altri esseri viventi del mondo che li circonda. La donna è un altro «io» nella comune umanità». Un altro io nella comune umanità. Una specularità, quella dell’uomo e della donna, che non è appiattimento ma tutela dell’alterità: insomma, è un’uguaglianza che è parità e non pretesa di omologazione. Se l’uguaglianza, infatti, indica una sorta di livellamento, un annullamento delle differenze individuali, la parità implica rispetto e tutela di quelle medesime differenze, nonché necessità di presentare offerte e opportunità che siano pensate su misura per le specifiche esigenze di ciascuno. Sempre nell’Amoris Laetitia, Papa Francesco scrive a questo proposito che «la grandezza della donna implica tutti i diritti che derivano dalla sua inalienabile dignità umana, ma anche dal suo genio femminile, indispensabile per la società». Esiste, cioè, un “genio”, un’attitudine specificamente femminile, che non dev’essere però interpretata come un canone rigido e limitante: sta alle donne poi, a ciascuna donna, scoprire ognuna per sé la propria specifica e personale declinazione di questo genio. «Le donne danno il loro contributo alla Chiesa secondo il modo loro proprio e prolungando la forza e la tenerezza di Maria, la Madre» scrive Francesco in un’altra esortazione apostolica, Querida Amazonia. Tradizionalmente considerate come qualità agli antipodi (da una parte la forza, attributo specificamente maschile, dall’altra la tenerezza, una qualità associata esclusivamente alla maternità e quindi esclusivamente femminile) sono qui messe da Papa Francesco in una relazione non esclusiva, scardinando così alcuni dei più tipici stereotipi che a lungo hanno soffocato i valori specifici della persona e si sono tradotti, tanto per l’uomo quanto per la donna, in ruoli sociali stringenti e mortificanti. Non sono specificamente proprie della donna né la sola forza né la sola tenerezza, possono esserlo entrambe così come ciascuna donna può scoprirsi, in misura maggiore, incline alla tenerezza e alla sensibilità piuttosto che alla forza e all’impetuosità. A ciascuna sta la possibilità e la capacità di riscoprire le proprie corde e le proprie inclinazioni, nel modo in cui lo si ritenga più adatto.
Questo è il contributo specifico che ciascuna donna apporta alla società (e alla Chiesa), delle quali fa parte a pieno titolo: troppo spesso però questo contributo, pur presente e necessario, è minimizzato o non ascoltato. Ieri come oggi, la lotta per l’uguaglianza è una lotta di tutti: è soltanto attraverso l’ascolto del punto di vista femminile, il supporto alle battaglie per l’uguaglianza e, in sintesi, la collaborazione reciproca alla costruzione di un mondo diverso e migliore, che questa lotta potrà essere vinta. Proprio alla dimensione necessaria dell’ascolto si richiama anche lo Statuto dell’Azione Cattolica Italiana: la vita associativa, infatti, cuore dell’esperienza specifica dell’ACI e posta in evidenza sin dai primi articoli, «pone al centro la persona, che vuole servire nel suo concreto itinerario di formazione cristiana; è rivolta alla crescita della comunità cristiana nella comunione e nella testimonianza evangelica; è animata dalla tensione all’unità da costruire attraverso la valorizzazione dei doni che le provengono dalle diverse condizioni ed esperienze di quanti partecipano alla sua vita» (art. 11.2). Porre al centro la persona significa valorizzare la sua diversità, la sua specificità in quanto uomo o donna, giovane o adulto, nonché le sue peculiarità individuali, senza alcuna differenza di trattamento (basti solo pensare alla forza umana, spirituale e culturale di un movimento come quello della Gioventù Femminile di Azione Cattolica, attivo fino all’emanazione del nuovo statuto nel 1969).
La donna di Aziona Cattolica, dunque, fa esperienza di un’uguaglianza nella militanza laicale vera e sentita, nonché di una collaborazione che funziona e di cui porta testimonianza nel mondo: riscoprire le proprie potenzialità all’interno di quest’orizzonte, accompagnata dalla presenza dello Spirito, necessariamente determina un cambiamento radicale nella propria vita e nella propria capacità di rapportarsi attivamente al mondo.
In conclusione, l’umanità tutta è chiamata all’impegno per un mondo più giusto ma il mondo cattolico, in particolare, non può e non deve perdere di vista la buona notizia, quella del Regno di Dio. «La proposta – ricorda papa Francesco nell’Evangelii Gaudium – è il Regno di Dio (Lc 4,43); si tratta di amare Dio che regna nel mondo. Nella misura in cui Egli riuscirà a regnare tra di noi, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti. Dunque, tanto l’annuncio quanto l’esperienza cristiana tendono a provocare conseguenze sociali». Non si può essere duri d’orecchie né duri di cuore: a questa stessa proposta Giovanni Paolo II, all’Assemblea Straordinaria del 14 settembre 2003, richiamava specificamente l’Azione Cattolica, composta di «laici esperti nella splendida avventura di far incontrare il Vangelo con la vita» e quindi a testimoniare che sì, un mondo diverso è possibile!
E noi, tutti, cosa stiamo facendo per contribuire attivamente a costruire questo mondo?

Brunella Valva

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