Imperfetti nell'unità
Commento al Vangelo di domenica 14 marzo 2021
IV Dom di Quaresima anno B - Dio è fedele all’alleanza - 14 marzo 2021
Prima lettura: dal Secondo Libro delle Cronache, cap. 36 vv. 14-16 e vv. 19-23
Dio è eternamente fedele alla sua alleanza
Con il Salmo 136 diciamo:
Il ricordo di te, Signore, è la nostra gioia
Seconda lettura: dalla Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini, cap. 2 vv. 4-10
Siamo stati salvati per grazia
Dal Vangelo secondo Giovanni, cap. 3 vv. 14-21
Chi opera la verità viene alla luce
Il Secondo Libro delle Cronache in quest’ultimo capitolo descrive il peccato d’Israele, che si è preso gioco dei messaggeri di Dio, che hanno sottovalutato la sua parola, deriso i profeti e così non ha accolto l’amore che il Signore aveva manifestato attraverso i suoi inviati. In questo modo l’ira del Signore raggiunse il culmine e non ci fu rimedio. E dire che non era mai mancata la premura di Dio per il suo popolo. Come sempre siamo davanti alla cosiddetta “ira immanente”, come la chiamava il cardinale C.M. Martini, cioè l’effetto delle proprie colpe: il re dei Caldei deportò persone e cose a Babilonia, lasciando il territorio di Giuda come terra vuota. Gerusalemme è bruciata e molti arredi sacri vengono asportati e ritorneranno solo con gli esiliati, quando sarà concesso loro di rientrare. Geremia profeta (cf. Ger 29,10) afferma che l’esilio durò settanta anni. Poi il testo riporta il decreto del re di Persia Ciro, quell’editto che permise il rientro dall’esilio. Non c’è più un discendente di Davide, ma un re persiano, a cui il Signore ha dato i regni della terra e a cui ha parlato, perché sia Ciro a ricostruire il tempio e a fare un atto di liberazione. Ciro conquistò Babilonia nel 539 a.C. e fondò il regno persiano, che durò due secoli, fino all’arrivo del grande Alessandro Magno (332 a.C.). Gli esuli persiani si affidarono a Ciro, come sarà descritto da Isaia, il quale nel testo dichiara di aver ascoltato la parola del Signore e di aver accettato l’incarico rivoltogli. L’ultima espressione, «chiunque di voi appartiene al suo popolo, il suo Dio sia con lui e parta/offra» (2Cron 36,23), è rivolta non solo a quelli rientrati in patria ma anche a tutto il popolo, per dire che c’è la possibilità, offerta da Dio, di poter ri-partire oppure di offrire, per dire che Dio concede misericordia. Sono le ultime parole della Bibbia ebraica e sono dense di speranza, perché anche noi apparteniamo al suo popolo e anche per noi è tempo di ri-nascere dall’alto, cioè dallo Spirito, come Gesù dice a Nicodemo. Egli, innalzato sulla croce, dona misericordia a tutti gli uomini: il Cristo porta a compimento la profezia del serpente che Mosè innalzò sul palo. È tempo di credere in lui, perché chiunque aderisce al suo mistero pasquale è già salvo. Chi non riconosce le proprie colpe resta nella tenebra, che è contraria alla luce di Cristo. Chi, invece, accetta di andare verso Gesù e riconoscerlo come il Figlio di Dio, rinasce dallo Spirito ed è già salvo. Ha ragione Paolo, quando afferma nella seconda lettura: «Dio, ricco di misericordia, per il suo grande amore con il quale ci ha amati, nonostante fossimo morti per i (nostri) peccati, ci ha fatto rivivere insieme a Cristo». Siamo stati, dunque, inseriti in lui.