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10 giugno 2020

Tutti noi in parrocchia almeno una volta, ci siamo ritrovati in una situazione dove non c’era la condivisione di un progetto o di un’idea. In alcuni casi lo scontro è talmente acceso che sembra venga meno l’unitarietà, l’amore e l’affetto che ci lega. Alla fine dell’incontro sguardi mesti e visi tesi riempiono di tristezza i nostri cuori.

Viene spontaneo chiedersi, come è possibile che in luoghi di comunione dove regna l’amore e l’affetto possa esserci tanta tensione?
Come è possibile ricucire quella unità di intenti, dal punto di vista umano, e quella comunione di anime,dal punto di vista cristiano?

La risposta è possibile trovarla, nella scrittura, negli Atti degli Apostoli, al capitolo 15, in cui si racconta del primo confronto - scontro avvenuto tra gli apostoli in merito alla necessità di circoncidere o meno i nuovi cristiani. C’erano diverse tesi, disparate opinioni che avevano bisogno di essere accordate prima, e condivise poi. Per questo motivo è convocato a Gerusalemme il primo Concilio della Chiesa. Gli apostoli si ritrovano intorno a Pietro, alla roccia, per discutere e confrontarsi, ognuno portando le proprie idee, sostenute da valide argomentazioni. Paolo e Barnaba si legge che si opponevano risolutamente e discutevano animatamente contro costoro (15, 2), altri sostenevano che fosse necessario circonciderli e ordinar loro di osservare la legge di Mosè (15, 5). A trovare la sintesi è Pietro che, alzatosi, a tutti ricorda che Gesù non ha fatto nessuna discriminazione tra noi e loro, purificandone i cuori con la fede (15, 9) e che Noi crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati e nello stesso modo anche loro (15, 11). Pietro riporta la comunione all’interno della comunità, non mettendo una toppa, ma indicando una strada nuova, suggerisce di guardare all’altro come farebbe il Signore, non vedendolo solo per quello che dice o come lo dice, ma guardando l’altro per quello che è.

Pietro mette in evidenza il volto misericordioso e amorevole di Gesù che ha preferito la testimonianza alla mera trasmissione di regole e precetti come farebbe un maestro.

La comunione “ha bisogno di una sola cosa: di una fede esagerata. Quella fede che ci permette di vedere Gesù non come un maestro, cioè un insieme di regole e precetti da osservare, ma come il Signore. Quando riusciremo a riconoscere Gesù come il Signore, riusciremo ad amarLo, ameremo gli altri, sempre, in ogni contesto ci troveremo, e anche quando ci sentiremo di scoppiare sapremo pregare dicendo “Signore salvami da quello che sento”. Instaurare un rapporto di intimità con Gesù significa farsi salvare da Lui. Solo se Gesù è per noi “il Signore” potremo fare comunione. La comunione non è un bilancio, un compromesso, ma nasce da un rapporto stretto con il Signore. Sapremo essere comunione all’interno dei nostri gruppi, impareremo ad ascoltare, sapremo riconoscere nelle parole dell’altro il Signore e non solo il maestro, se sapremo uscire dall’io per incontrare il noi”. (dalla riflessione di Don Luigi Piccolo, Assistente diocesano ACR)


Ciò che ci fa diventare costruttori di comunione è prima di tutto credere all’amore di Cristo che ha dato il suo sangue per ogni uomo e donna.


L’Azione Cattolica da sempre ha fatto la scelta del gruppo e del camminare insieme. Nel progetto formativo infatti si legge:
“L’essere associazione impegna a camminare nell’unità e a fare famiglia: per la Chiesa, segno di comunione e di amore; per ogni persona, tirocinio di socialità, con la sua esigenza di concorrere a realizzare obiettivi comuni e con la disciplina che essa esige perché si possa camminare insieme, tenendo conto delle esigenze e del passo degli altri. Ma anche tirocinio di vita ecclesiale, che chiede la tensione all’unità, all’integrazione, alla testimonianza di quella comunione che è dono e impegno e che esige di tramutarsi in percorsi che realizzano una fraternità senza confini” (dal Progetto Formativo AC “Perché sia formato Cristo in voi” – AC tirocinio di comunione.)

Difficile, ma non impossibile!

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