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11 agosto 2020

Servire e dare la propria vita
(Mc 10,32-45)

Icona dell’anno associativo
AC 2020-2021

Mc 10,32. Erano dunque in cammino per salire a Gerusalemme: Gesù li precedeva ed essi erano pieni di stupore, invece quelli che lo seguivano avevano paura. Egli, prendendo di nuovo in disparte i Dodici, cominciò a spiegare loro le cose che stavano per succedergli: 33. «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme, dove il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte, lo consegneranno ai pagani, 34. lo derideranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno, ma dopo tre giorni risusciterà». 35. Si avvicinano a lui Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu esaudisca una nostra richiesta». 36. Egli replicò loro: «Cosa volete che faccia per voi?». 37. Quelli gli dissero: «Concedici di sedere uno alla tua destra e uno alla sinistra nella tua gloria». 38. Allora Gesù rispose: «Voi non sapete cosa chiedete. Potete bere il calice che io bevo o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?». 39. Quelli risposero: «Lo possiamo». Allora Gesù disse loro: «Il calice che io bevo voi lo berrete e il battesimo con cui io sono battezzato voi lo riceverete, 40. ma sedere alla mia destra o alla sinistra non sta a me concederlo, ma è per coloro per i quali è stato preparato». 41. Sentendo (tutto questo) i dieci cominciarono a indignarsi verso Giacomo e Giovanni. 42. Allora Gesù, chiamandoli a sé, disse loro: «Voi sapete che coloro che credono di governare le nazioni esercitano su di esse la loro signoria, mentre i loro grandi esercitano su di esse l’autorità. 43. Tra voi, però, non è così, ma se qualcuno vuole diventare grande tra voi, sia vostro servo, 44. e se qualcuno tra voi vuole essere il primo, sia di tutti schiavo. 45. Infatti, il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per tutti.


Servire e non asservire: il rischio del potere

Lungo il cammino che porta a Gerusalemme, come i discepoli dietro Gesù siamo davanti al rischio decisivo: il desiderio del potere, che finisce con il rendere l’uomo schiavo dei propri desideri e nemico dei propri simili. L’evangelista Marco per la terza (e definitiva) volta ricorda il motivo della sofferenza-condanna del Figlio dell’uomo (Mc 10,32-34), che appare come punto di partenza del racconto successivo centrato sul desiderio di potere di Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo (10,35-45).
Nel primo annuncio l’evangelista registra il desiderio di successo di Pietro, il quale azzarda a correggere Gesù, perché non accetta e nemmeno comprende il riferimento alla sofferenza e alla morte, fatte dal maestro (Mc 8,32). Segue il tema del denaro (Mc 10,17-31). Il cammino formativo mette in luce ora il desiderio di potere da parte di Giacomo e Giovanni (10,35), ma che è presente in ogni tempo e in ogni persona. I due discepoli, che sono anche fratelli, sono stati (insieme a Pietro) i prediletti di Gesù, chiamati all’inizio della missione in Galilea (Mc 1,16-20), battezzati da Gesù con un nome nuovo (Mc 3,16-17), testimoni in anticipo del suo potere sulla morte in casa di Giairo (Mc 5,35-43) e della sua gloria pasquale nell’evento della trasfigurazione (Mc 9,2-13). Ora, proprio loro qui rifiutano di attraversare il cammino di passione del Figlio dell’uomo e così facendo si pongono fuori dalla logica della sequela.
Gesù rappresenta l’antipotere: tutti si servono di lui, vogliono imporsi con il potere, mentre egli è venuto per consegnarsi e dare la vita per tutti. Notiamo la pazienza di Gesù, che ascolta la richiesta assurda dei due fratelli: la lor pretesa, ma non se ne accorgono nemmeno, capovolge i valori del regno di Dio. Sono ciechi, anzi non vogliono vedere e così facendo diventano gli avversari del Messia.
Il Cristo parla loro di dono totale della vita, mentre essi desiderano e stanno progettando la loro ascesa al potere. Come ci somigliano! Non sono soli in questa oscurità e in non si differenziano dal resto dei Dodici. Si comportano come degli egoisti di un gruppo che crede di avere privilegi, mentre Gesù li ha chiamati alla missione universale (Mc 3,13-19; 6,6b-13.30). Questo egoismo ora inizia a sfaldare tutto il gruppo e a distruggere quel “noi”, a cui tutti i credenti sono chiamati: come Caino facciamo prevalere l’“io”. Si perde così la collegialità, quella sinodalità che indica il fare insieme lo stesso cammino, sempre e soltanto dietro Gesù. Arrivano addirittura a litigare per essere primi sugli altri e rompono l’unità del gruppo. Non sono più “Dodici”, ma due contro dieci e dieci contro due. Gesù li ha scelti perché siano segno unitario di un antipotere, fondato sul dono totale di sé ed essi tradiscono questo dono e questa responsabilità.
Giacomo e Giovanni chiedono di stare seduti alla destra e alla sinistra del Maestro, cioè chiedono i posti d’onore e di potere, dimenticando che il servizio è onus, cioè onere, peso, chiamata a condividere uno stile di vita e di servizio. Gesù, allora, offre loro una duplice risposta a Giacomo e Giovanni e poi a tutti quelli che lo ascoltano. In questo modo pazientemente ma progressivamente continua a formarli, perché imparino a rinunciare al potere e ad asservire gli altri, facendo della loro chiamata lo spazio per una piena umanizzazione. Ai due fratelli presenta due motivazioni, che inquadrano il discepolato: il calice e il battesimo. Per essere credenti bisogna accettare il calice di Gesù ed essere immersi (= battesimo) nel mistero pasquale di passione, morte e risurrezione. Possono condividere solo dopo la Pasqua, assumendo così lo stile di Cristo, mite e umile di cuore, venuto a dare la vita, cioè a mettersi nelle mani del Padre, dunque anche loro devono e possono fare lo stesso. Solo così sarà dato (notiamo il passivo: è il Padre il soggetto) a chi è stato scelto, di stare seduti alla destra e alla sinistra di Gesù.
Cosa comporta questa lezione? La mentalità del mondo ci porta a voler sempre “andare più in alto” e metterci sopra gli altri, come Caino, che prima di uccidere il fratello Abelie, “si alzò su di lui” e poi lo uccise. Mettersi al di sopra degli altri porta a schiacciare e addirittura eliminare gli altri. Per essere discepoli dobbiamo imparare a morire a noi stessi, a rinunciare al nostro egoismo, a voler dominare e comandare. Né dobbiamo nutrire sentimenti di invidia, che Gesù definisce “occhio cattivo”, come fanno i dieci contro Giacomo e Giovanni. Per questo motivo Gesù li convoca e fa osservare loro che la mentalità mondana porta ad asservire gli altri, ma questo modo errato di vivere auto-inganna: sì, le donne e gli uomini di ogni tempo hanno una grande capacità di auto-ingannarsi, di illudersi di realizzare se stessi sugli altri e senza gli altri: si diventa disumani.
Solo chi condivide la logica evangelica diventa ogni giorno di più e pian piano è umanizzato, perché umani non si nasce, umani si diventa!
Meditiamo sull’omelia di San Gregorio Magno tenuta proprio su questo episodio:

Dalle «Omelie sul vangelo di Matteo» di san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Om. 65, 2-4; PG 58, 619-622)
Partecipi alla passione di Cristo

I figli di Zebedeo chiedono al Cristo: «Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra» (Mc 10, 37). Cosa risponde il Signore? Per far loro comprendere che nella domanda avanzata non vi è nulla di spirituale e che, se sapessero ciò che chiedono, non lo domanderebbero, risponde: «Non sapete ciò che domandate», cioè non ne conoscete il valore, la grandezza e la dignità, superiori alle stesse potenze celesti. E aggiunge: «Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?» (Mc 10, 38). Voi, sembra dir loro, mi parlate di onori e di dignità; io vi parlo, invece, di lotte e di sudori. Non è questo il tempo dei premi, né la mia gloria si manifesta ora. Il presente è tempo di morte violenta, di guerre e di pericoli.
Osservate quindi come, rispondendo loro con un’altra domanda, li esorti e li attragga. Non chiede se sono capaci di morire, di versare il loro sangue, ma domanda: «Potete voi bere il calice» e per animarli aggiunge «che io devo bere?», in modo da renderli, con la partecipazione alle sue sofferenze, più coraggiosi. Chiama la sua passione «battesimo» per far capire che tutto il mondo ne avrebbe ricevuto una grande purificazione. I due discepoli rispondono: «Possiamo!». Promettono immediatamente, senza sapere ciò che chiedono, con la speranza che la loro richiesta sia soddisfatta. E Gesù risponde: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete» (Mc 10, 39). Preannunzia loro grandi beni: Voi, cioè, sarete degni di subire il martirio e soffrirete con me; finirete la vita con una morte eroica e parteciperete a questi miei dolori. «Ma sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato» (Mc 10, 40).
Dopo aver preparato l’animo dei due discepoli e dopo averli fortificati contro il dolore, allora corregge la loro richiesta.
«Gli altri dieci si sdegnarono con i due fratelli» (Mt 20, 24). Notate come tutti gli apostoli siano ancora imperfetti, sia i due che vogliono innalzarsi sopra i dieci, sia gli altri che hanno invidia di loro. Ma, come ho già detto, osservateli più tardi, e li vedrete esenti da tutte queste miserie. Giovanni stesso, che ora si fa avanti anche lui per ambizione, cederà in ogni circostanza il primato a Pietro, sia nella predicazione, sia nel compiere miracoli, come appare dagli Atti degli Apostoli. Giacomo, invece, non visse molto tempo dopo questi avvenimenti. Dopo la Pentecoste infatti sarà tale il suo fervore che, lasciato da parte ogni interesse terreno, perverrà ad una virtù così elevata da essere ritenuto maturo di ricevere subito il martirio.

P. Ernesto Della Corte
Assistente unitario diocesano di AC

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